Ritengo che il primo elemento curativo di ogni percorso analitico e psicoterapeutico stia nella qualità dell’incontro fra l’analista, che all’inizio del suo percorso fu analizzando, e chi si rivolge all’analista. Il malessere che ci portiamo dentro, quello che il farmaco può assopire tutte le volte che lo assumiamo e può portare avanti in modo più o meno latente, ma non estinguere, ha origini imprescindibilmente sociali.
Ciascuno di noi inizia ad esistere dall’incontro di due cellule e cresce se ha un utero che lo contiene e mantiene in vita e grazie al quale si svilupperà fino a manifestarsi in un ambiente che continuerà a contenerlo e nutrirlo e senza il quale non sopravvivera’. Siamo tutti figli nati e sopravvissuti grazie alla relazione, ed è nella qualità di questa che dobbiamo cercare le origini del nostro star bene e/o star male, come è nella qualità della relazione analitica che prima di tutto dobbiamo andare a fondare la nostra possibilità di ri-sanarci. È un richiamo a scegliere il nostro analista ascoltandoci bene: questa persona appena conosciuta me la sceglierei come genitore, come amico, come confidente? Come mi sono sentito? Cosa mi porto dietro da questo incontro?
Altra premessa importate sta nel richiamo ad avere ben presente la consistenza e la finalità della psicoterapia analitica che verrà proposta come intervento fondamentale in ogni percorso. Il cercare, far emergere, capire ed interpretare i sintomi ed accogliere e ricostruire la storia emotiva ed “inconscia” di ciascuna persona non è solo lo strumento per la cura, ma è la cura stessa, così come, per tornare all’inizio del discorso e richiuderlo su se stesso ma in senso di spirale sempre più ascendente e onnicomprensiva come mi piace immaginare il percorso analitico, la cura sta già nella qualità dell’incontro fra il mio Io e quello dell’altro che viene a incontrarmi.
Solo dopo aver evidenziato questi concetti posso passare a parlare di cosa mi propongo di curare secondo le mie competenze e la mia visione della vita.